Omelia per il funerale di don Icilio Rossi

16-05-2021

“Vi esorto a comportarvi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”.

Sono parole ben appropriate a descrivere l’anima del nostro caro don Icilio.

 

È sembrato opportuno proclamare anche oggi la Parola di Dio delle letture della Messa di ieri, solennità dell’Ascensione, giorno che il Signore ha scelto per chiamare a sé il suo servo don Icilio. Si possono in certo modo considerare le letture con le quali il Signore ha voluto accoglierlo in cielo, il giorno della ascensione e del mandato missionario di Gesù alla sua Chiesa. La lettera agli Efesini ci parla appunto della Chiesa come un solo corpo e un solo spirito. Don Icilio ha amato la Chiesa con amore di figlio, di pastore e di padre. Il suo rapporto filiale con la Chiesa sta proprio all’inizio della sua vocazione al sacerdozio. Ce lo ha raccontato lui stesso quando il vescovo Conti, negli anni trenta, dopo aver celebrato una Messa a Celle, rientrando in sacrestia vide questo bambino, chierichetto di 6 o 7 anni, che lo guardava fisso, per cui gli domandò se volesse diventare prete. Al che il parroco intervenne a far notare che in tal caso si sarebbe dovuto pensare al suo sostentamento in seminario. Allora 2il vescovo si toglie il cappello lo mette in capo a questo bambino coprendolo quasi tutto dicendogli: se sei buono ci pensa la Chiesa a te.  Ecco, in questo gesto c’è tutta la vita di Icilio, egli è cresciuto sotto il manto della Chiesa, avendo questa per madre e Dio per Padre. Questo rapporto filiale segnerà profondamente la vita di quel bambino che poco dopo entrerà effettivamente in seminario. E come sempre avviene in chi vive in grazia di Dio, la sua umanità comincerà a fiorire in tutta la sua pienezza e il suo splendore, perché l’uomo vivente è gloria di Dio: don Icilio ha amato lo sport, il calcio, per cui fu arruolato clandestinamente (cioè all’insaputa del rettore) dal Siena come centrocampista e attaccante, le montagne, che tanto gli servirono per evangelizzare i giovani, la musica e la sua fisarmonica, la cultura che gli servì a educare a una fede incarnata nella realtà e congiunta con la vita.

Ascendendo al cielo, continua la Parola, il Signore Gesù ha distribuito beni agli uomini, e ha dato ad alcuni di essere pastori e maestri allo scopo di edificare il corpo di Cristo.

“Costruttore della Chiesa”, così lo si potrebbe dire don Icilio, considerando il grande lavoro di evangelizzazione dei giovani a cui ha dedicato i migliori anni della sua vita, negli innumerevoli campi scuola, grazie alla collaborazione di don Terzilio che rimaneva in parrocchia a Sinalunga permettendogli di star fuori tutta l’estate, e della sua mamma Italia a fare da cuoca. Così don Icilio al suo amore di figlio per la Chiesa aggiunse quello di pastore, che scaturiva dal suo amore per Cristo. Ed è stato chiamato a servirla nell’Azione Cattolica in cui ha assunto ruoli di responsabilità anche nazionale. Ha amato l’Azione Cattolica e l’ha fatta amare alle migliaia di giovani, provenienti da tutta la Toscana, con i quali manteneva il rapporto anche dopo il campo scuola, con lettere, telefonate, visite di persona, nella direzione spirituale, vero padre per tutti. Ha insegnato loro che la Chiesa ideale è quella reale, quella che si incarna nella tua parrocchia, nella tua diocesi, nel tuo parroco e nel tuo Vescovo che va amata e servita, perché quella e, non un’altra, è la Chiesa del Signore. E, in questo suo apostolato, le vocazioni sono fiorite, al sacerdozio, al monastero, al convento, alla famiglia, dei laici nella Chiesa. Ha amato molto e servito la Chiesa diocesana, a Sinalunga e a Pienza per molti anni, poi in varie altre parrocchie e nei pellegrinaggi, con l’UNITALSI, come pure lungo è stato il periodo del suo servizio come Vicario Generale, a fianco degli ultimi tre vescovi, fino all’ultimo respiro. Della diocesi conosceva ogni sasso, percorrerla in auto con lui significava vederla animarsi di storie e di persone: per ogni collina, ogni angolo o paese c’era una storia, un fatto, un ricordo. Soprattutto c’erano i preti di cui parlava sempre con tanto affetto e ammirazione. Era fedelissimo nel celebrare regolarmente le Messe di suffragio per i preti defunti, segnate diligentemente su un registro personale di cui era molto geloso.

L’Ascensione del Signore è anche il momento del mandato missionario che Gesù affida alla sua Chiesa. Don Icilio ha percorso l’Italia nelle missioni popolari promosse dalla Pro Civitate Christiana, evangelizzando vicini e lontani; innumerevoli sono i racconti che abbiamo ascoltato da lui delle sue avventure missionarie. Ha fatto proprie le istanze del Concilio per l’apertura al mondo, mantenendo sempre una limpida fedeltà alla tradizione.

Ha mantenuto fino alla fine questo senso profondo della Chiesa e un rispetto davvero sacro per essa. L’obbedienza a volte, come è normale che sia, gli è costata, ma il concetto di Chiesa che coltivava in sé, gli faceva mettere il servizio ad essa sempre e comunque molto al di sopra delle sue esigenze o aspettative umane. Sempre ti restituiva il senso soprannaturale della Chiesa, pur fatta di umanità spesso fragile. Quando è entrato in agonia (il Signore lo ha chiamato con dolcezza entro una settimana) ha iniziato a darmi del lei, e sul momento mi sono stupito, poi ho capito che era il suo bisogno di esprimere, negli ultimi respiri, quel rispetto che era diventato parte di lui, il rispetto per la madre santa che lo ha generato figlio e servo di Dio, in quel momento rappresentata dalla figura del vescovo, con una espressione di tale prostrazione interiore, di annichilimento e di venerazione davanti al mistero della Chiesa,  che diceva tutto quel che è stato don Icilio, la sua fotografia di uomo vissuto totalmente per essa.

Ciao don Icilio. Non ti nascondiamo che siamo tristi, ma di una tristezza buona perché viene dall’affetto per te. Siamo certi che la festa che si sta facendo per te in cielo non ti distrarrà da noi che continuiamo il nostro cammino terreno. In verità ciò che a noi sembra ci venga tolto è un altro dono che Dio mette da parte per noi in cielo ad aumentare il capitale di grazia che ci custodisce. Sono i servi fedeli che Egli ha chiamato a sé pur rimanendo sempre uniti a noi per la comunione dei santi, ma non più corruttibili, quindi anime sante garantite, fontane di grazia per il nostro cammino. Continua a stare con noi Icilio, prega per questa chiesa che hai amato e servito in terra e che ami e servi dal cielo. Amen. Alleluia.