Omelia domenica di Pasqua

L’orrenda Passione e morte di Nostro Signore oggi rivela il suo vero volto: è stato un immenso movimento d’amore.

Il Padre e il Figlio sono saliti sulla stessa barca dell’umanità e hanno naufragato insieme a noi: hanno conosciuto il naufragio dell’odio, della cecità della mente che scambia il benefattore per un malfattore, della sopraffazione dell’uomo sul suo prossimo, del tremendo sacrilegio: il deicidio che ha fatto avvolgere la terra di fitte tenebre e l’ha fatta scuotere con un terremoto (i cui segni si possono ancor oggi vedere a Gerusalemme, sotto il Golgota).

Ed essi sono stati con noi sempre: il Figlio non si è tirato indietro, non ha abbandonato la nave, ed è affondato con noi umanità, è morto, si è fatto nostro “consorte” ha condiviso la nostra sorte.

E il Padre? Benché non si possa attribuire a Lui il dolore che è una prerogativa umana, cosa però dovremmo pensare o immaginarci? Non è cosa da niente per un Padre lasciare il suo Figlio unigenito nelle mani dei suoi torturatori e assassini. Anche il Padre non si è tirato indietro e ha dovuto presentare il calice amaro al suo amatissimo Figlio (il suo diletto come dice nel vangelo tutte le volte che si ode la sua voce dal cielo).

Perché il suo progetto è di diventare un tutt’uno con l’umanità, unione mistica e sponsale, e se essa ha veleno mortale anche Dio, in Gesù Cristo, ne è rimasto infetto.

Tu ci ami Signore di un amore che non avevamo mai conosciuto prima, non se ne era mai sentito parlare, non si sapeva: abbiamo scoperto che il tuo amore è eterno, che niente lo può fermare e che la morte non può niente contro di esso. Anzi la morte ne è stata sopraffatta, schiantata, gettata da una parte come uno straccio: dov’è o morte il tuo pungiglione? Dov’è o morte la tua vittoria? 

L’Amore Trinitario ti ha vinta! Siano rese grazie a Dio per Gesù Cristo nostro Redentore!

Il Padre ha risuscitato il suo Figlio Gesù, stritolando la morte, che, da muro invalicabile, è diventata la porta che conduce alla vita eterna. E Gesù in un mattino di primavera, al primo chiarore dell’alba si è alzato, ha sfolgorato di luce, ha illuminato il sepolcro, ha scaraventato lontano la pietra che era lì a dire all’uomo: fin qui giungerai e non oltre! (Gb 38,11). Il tuo limite sono io, la morte. No, non è più interdetta all’uomo l’eternità, il limite finale imposto dal peccato è stato rovesciato a terra. Nella cultura contadina la pietra segnava il limite della proprietà. No, non ti apparteniamo più, o morte! E Gesù è uscito fuori dalla sua tomba con quale volto? Arrabbiato, per tutto il male subito? Vendicativo? Risentito? Severo? No, il Signore stamani ha un sorriso bellissimo, e tutto guarda e fa risorgere con il suo sorriso da risorto: cari fratelli, Dio oggi si è svegliato con un sorriso, sugli uomini, sulla creazione, sulla nostra storia umana. Nel giardino dov’era il sepolcro, il Risorto avanza assolvendo le creature mortificate dall’uomo, che le ha costrette a far soffrire il loro Creatore, gli alberi che hanno offerto il legno, la canna, i minerali, le spine, il cuoio che l’ha frustato, tutto è  pacificato, risollevato, benedetto, santificato dal sorriso di Dio. La prima parola che uscirà dalla bocca del Risorto davanti ai suoi smarriti apostoli sarà: Pace! Pace a voi! E dove passa il risorto con i suoi passi di luce, tutto si pacifica.

Accogliamo, in questa Pasqua che racconteremo ai posteri, questo sorriso di Dio su di noi, cari fratelli e sorelle, imprimiamolo nel cuore e custodiamolo in noi in questi giorni. Portiamo la luce del Risorto a rischiarare ogni oscurità che voglia addensarsi nel nostro spirito. Egli è risorto! Ci sostenga nello sconforto, ci consoli nel lutto, ci rafforzi nella speranza. Facciamo sì che da questa pandemia sorga un mondo rinnovato, per quanto è possibile. Deve essere rinnovato in meglio il nostro modo di vivere, altrimenti i nostri sacrifici saranno vanificati. Sta per iniziare, si dice, la fase due, la cosiddetta convivenza col virus. Bene, la nuova fase sarà innanzitutto uno sguardo nuovo sulla realtà.

Abbiamo tanto pregato per essere liberati dal nostro male, e tutt’ora supplichiamo l’aiuto di Dio, come è giusto, ma dopo vorremmo ricordarci anche del male degli altri, pur noi stando bene. Abbiamo sperimentato cosa significhi essere bisognosi, essere fragili, con la vita appesa a un filo. Sarà nuovo il nostro sguardo verso i poveri, i bisognosi, i sofferenti. Non potremo più pensare di essere felici da soli. Abbiamo imparato che siamo tutti sulla stessa barca e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Abbiamo visto che di fronte ai limiti che sempre saranno nell’esistenza umana, non illudiamoci, ci saranno sempre  (chi avrebbe detto che un mondo super sviluppato fosse messo in ginocchio da un parassita cento volte più piccolo di un batterio) non valgono le differenze di ceti sociali e di ricchezza: siamo tutti ugualmente poveri. È davvero uno sguardo nuovo, rivoluzionario, che ci fa tanto bene.

Chiamiamo i medici e gli infermieri “eroi” ma d’ora in poi apprezzeremo il loro lavoro anche quando i riflettori su di loro si saranno spenti, così come avremo uno sguardo nuovo su chiunque svolga il proprio lavoro diligentemente, con senso di responsabilità verso la comunità sociale. Ci ricorderemo che il lavoro, dal più umile al più complesso, ha il suo senso nel fare il bene agli altri.

Avremo uno sguardo nuovo sulla natura, dopo che ella ci ha mostrato, in questo tempo di virus, quanto l’abbiamo stressata col nostro stile di vita, consumistico e superficiale in tanti aspetti. È sempre più chiaro che è lei, la natura, la nostra più importante ricchezza, per la quale vale la pena di sacrificare alcune nostre comodità. Un medico ha detto che è il disastro ecologico ad aver provocato lo squilibrio biologico. La luce del Risorto ci animi nel ristabilire l’equilibrio fra uomo e natura.

Il distanziamento sociale ci ha fatto sentire in modo ancora più profondo quanto siano importanti le relazioni umane, quanto siano cari gli affetti, ci ha reso consapevoli del privilegio di stare gli uni accanto agli altri. Lo sguardo nuovo verso il nostro prossimo ci farà sentire un profondo rispetto gli uni per gli altri.

Una dottoressa, una volontaria che ha risposto all’appello della Protezione civile, ha detto che nell’ospedale con i colleghi hanno imparato a guardarsi negli occhi. All’inizio ognuno aveva il proprio nome scritto sulla tuta, altrimenti non riuscivano a riconoscersi, ora si riconoscono dagli occhi. In generale prima del virus eravamo più o meno tutti portati a guardare ognuno avanti a sé, per seguire i propri desideri, per arrivare primi, ora stiamo imparando a guardarci negli occhi, di più: a sorriderci con gli occhi! Questa è la dimensione vera della vita.

Ora siamo fermi, ognuno nella sua casa. Prima potevamo muoverci, correvamo sempre, anche troppo. E…per andare dove? Verso un distanziamento sociale, di un altro tipo, sempre più netto fra di noi? E per andare come? Da soli? Lo sguardo nuovo ci dice di imparare a camminare insieme, aspettandoci gli uni gli altri, dandoci la mano per andare allo stesso passo, senza la frenesia del “mi dispiace ma non ho tempo” con l’occhio fisso sull’orologio.

E il silenzio, nostro compagno in questi giorni? Ci ha costretti ad ascoltare, noi stessi per primi e poi ad ascoltare di più gli altri.

Signore Gesù resta con noi, perché si fa sera e noi vogliamo rischiararci alla tua luce. Tu nella settimana santa ci hai detto tutto ciò che conta davvero per la nostra vita e continuamente ci istruisci. Rimani con noi finché l’amore vinca!

                                                                                                                + Stefano

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